Non è completamente indigeno, ma lo è quanto basta per essere considerato tale nella società brasiliana “civilizzata”.
Il caboclo è il meticcio, metà indigeno metà brasiliano.
Diverso tra i diversi, è colui che fatica a trovare il suo posto nel mondo.
I caboclos che vivono nelle comunità indigene sperimentano la sensazione di non essere parte integrante della comunità, perché, in qualche modo, “contaminati” dalla civiltà occidentale. Eppure, questa contaminazione è ormai ineludibile e inevitabile: gli indios non vivono poi così separati dal resto del mondo, non sono più isolati come un tempo. Con le loro canoe raggiungono le comunità non indigene più vicine, dove comprano, vendono, assimilano stili di vita. Non è raro incrociare ragazzi indigeni con pettinature e tinte per capelli di calciatori famosi o con smartphone che utilizzano più per ascoltare la musica che per telefonare, perché spesso il segnale non arriva nella foresta.
Pur non essendo caboclos nel sangue, spesso le comunità indigene si ritrovano ad affrontare la modernità e a mettersi in rapporto, a mescolarsi con essa. Una delle grandi sfide dei missionari è proprio quella di aiutare le popolazioni dell’Amazzonia a conciliare tradizione e innovazione: aprirsi al mondo senza perdersi, senza abbandonare, rinnegare la propria originaria ricchezza, i propri immensi e preziosi tesori.
fra Carlos Acácio Gonçalves Ferreira
Giulia Maio
(da Voce Serafica, marzo 2022)